INCOLLA & STRAPPA (ovvero quanti alberi sprecati.)

17 marzo 2010

L’ispirazione del titolo di questo dire, è dovuta a quanto vedo intorno a me, in questo periodo elettorale, come la quantità di carta che si adopera, o meglio si spreca per comunicare. Se si volesse parlare di eccesso dove sarebbe, nella quantità di cose dette o nella quantità di carta usata, con tutte le conseguenze ed effetti collaterali del caso?!



Passeggiando a febbraio

24 febbraio 2010

Si sta concludendo il mese di febbraio, così ho deciso di pubblicare quattro foto che, durante i miei spostamenti a piedi mi sono capitate davanti agli occhi, ovvero le ho colte dalla realtà circostante. Ognuna racconta in se qualche cosa, le accomuna solo il mese in cui sono state fatte.



‘A neve a Roma

14 febbraio 2010

“Aho, stà a nevicà”
“Sì ma nun attacca, vedi che è bagnata”
“Guarda che si se fa più asciutta attacca, attacca”
“Me sa che c’hai raggione, stà a attaccà”
Questi credo siano stati dei dialoghi comuni lo scorso venerdì. Dopo 25 anni la neve ha imbiancato l’Urbe e ci ha fatto diventare tutti un pò bambini.
Probabilmente un evento così raro forse influisce sulla psiche del romano facendolo piacevolmente regredire per un attimo alla gioconda contentezza infantile.
Poi con un pò di crudeltà la neve ha iniziato a sciogliersi impastandosi con la sporcizia depositata sulle strade, creando un’impasto marroncino, scivoloso e infido. Come dire un ritorno alla realtà dei grandi. Così tutti siamo tornati a non essere più giocondi e apprezzare le semplici contentezze date dalle cose che ci circondano, tornando a essere accecati da tutti i veri e per lo più falsi problemi che ci condizionano.
e

INCENDIO DI UNO SFASCIO. (Ovvero ciò che respiriamo a Roma).

4 febbraio 2010

Le immagini qui riportate narrano di un incendio avvenuto difronte le mie finestre. E’ agghiacciante pensre che di questi eventi a Roma ne accadono parecchi, nella mia zona almeno tre o quattro l’anno, ciò che mi domando è: cosa ci sarà dentro quella nuvola immensa e terribile?
Quanti anni di vita in meno camperò, grazie a questi luoghi, da dove scaturiscno incendi, dove non c’è nessun genere di controllo, dove la realtà ovunque ti giri è monnezza o liquami o veleni??
Non è bello tornare di sera e vedere una strana nebbia e sentire uno strano odore che avviluppandoti ti penetra nel naso e ti intossica.
Insomma questo è una parte di ciò che riempie la nostra atmosfera, l’aria che respiriamo. Oltre la speranza bisogna trovare anche soluzioni per risolvere un’indecoroso, osceno, velenoso e letale problema.

Sulla terra c’è abbastanza per soddisfare i bisogni di tutti…

1 febbraio 2010

Quanto segue mi è arrivato tramite mail, con una catena di S.Antonio che odio. Perciò, visto che lo scritto non mi dispiace ho deciso di pubblicarlo anche per spezzare questa ammuffita moda di tirarla al prossimo.

Un sant’uomo ebbe un giorno da conversare con Dio e gli chiese:
Signore, mi piacerebbe sapere come sono il Paradiso e l’Inferno.
Dio condusse il sant’uomo verso due porte. Ne aprì una e gli permise di guardare all’interno.
C’era una grandissima tavola rotonda. Al centro della tavola si trovava un grandissimo recipiente contenente cibo dal profumo delizioso. Il sant’ uomo sentì l’acquolina in bocca.
Le persone sedute attorno al tavolo erano magre, dall’aspetto livido e malato. Avevano tutti l’aria affamata. Avevano dei cucchiai dai manici lunghissimi, attaccati alle loro braccia. Tutti potevano raggiungere il piatto di cibo e raccoglierne un po’, ma poichè il manico del cucchiaio era più lungo del loro braccio non potevano accostare il cibo alla bocca. Il sant’uomo tremò alla vista della loro miseria e delle loro sofferenze.
Dio disse: Hai appena visto l’Inferno.
Dio e l’uomo si diressero verso la seconda porta. Dio l’aprì.
La scena che l’uomo vide era identica alla precedente. C’era la grande tavola rotonda, il recipiente che gli fece venire l’acquolina. Le persone intorno alla tavola avevano anch’esse i cucchiai dai lunghi manici.
Questa volta, però, erano ben nutrite, felici e conversavano tra di loro sorridendo.
Il sant’uomo disse a Dio: Non capisco!
E’ semplice, rispose Dio, essi hanno imparato a nutrirsi gli uni con gli altri! I primi, invece, non pensano che a loro stessi…
Inferno e Paradiso sono uguali nella struttura… La differenza la portiamo dentro di noi!!!

“Sulla terra c’è abbastanza per soddisfare i bisogni di tutti ma non per soddisfare l’ingordigia di pochi. Sono le azioni che contano. I nostri pensieri, per quanto buoni possano essere, sono perle false fintanto che non vengono trasformati in azioni. Sii il cambiamento che vuoi vedere avvenire nel mondo”.

Mahatma Gandhi

MiNiMaL tRiP iN rOmE

20 gennaio 2010

Roma aperta, Roma capoccia, Roma ladrona, Roma meretrice, Roma caput mundi, Roma eterna, Roma capitale…. in quanti modi l’abbiamo e continuiamo a chiamarla.
Un contenitore di cose e di esseri, sempre aperta a tutti, non rifiuta e non imprigiona, accetta tutto e tutti.

Dagli antichi etruschi e poi i romani e i bizantini, i papalini e oggi noi presenti, l’abbiamo usata e la usiamo senza vergogna.
Strati di storia hanno alzato il livello delle strade di vari metri, camminiamo su “li cocci” dell’antica Roma che ancora ci affascina con scorci improbabili per altre città.
A tutti piace, turisti da tutto il mondo vogliono vederla, fotografarla, filmarla, graffiarla, leccarla fino a consumarla.
Il romano o meglio l’abitante romano, ormai multi etnico, è inglobato in questo sistema URBE/ANO, dove tutto si svolge con ritmi schizofrenici, il ritmo africano, quello arabo, il cinese, lo slavo, lo zingaro e… il nostro, quello dei romani de Roma.
Tutto è ammesso e concesso, anche la rabbia per chi si sente fesso.
Eppure dovremmo essere abituati ai flussi e riflussi, da quando è nata la nostra città ha accolto tutti, di tutte le specie e le ha viste scontrarsi, ferirsi, combattersi, ammazzarsi.
Oggi fiumi di asfalto trasportano nella corrente data dalla direzione del traffico, segmenti di metallo con ruote di gomma che affannosamente si accalcano in sterminate file di stoltezza, tutto per comodità, visto che l’automobile è comoda.
Tanto l’aria si satura di particolato, polveri fini, anidride carbonica e polvere che crea palta, lo stato di decadenza delle cose che in alcuni luoghi le rende imprecise, mischiate ad altre, crea conglomerati di materia inerte.
I gabbiani dall’alto ridono forse di noi, mentre grati scorazzano nelle discariche, intorno alla Capitale.
Dai finestrini dei mezzi pubblici, sfilano davanti gli occhi gli antichi muri e quelli più recenti, alcuni come tavolozza di pittore, ricchi di colore di segni e messaggi che qualcuno ha scritto ed altri cancellato o strappato.
Intanto il tempo scorre per noi uomini mortali, scandisce il ritmo anche di Roma che evolve e si trasforma sempre più allargando i suoi confini.
Così con occhi onirici m’incanto nel mirare ciò che l’attraversa e penso all’universo vivente e pulsante.

Vienna

4 dicembre 2009

L’attesa in un treno fermo in stazione, al coperto con luci e colori.
Il buio del giorno invernale rende gli occhi pesanti come fosse mezzanotte.
Cercare con l’occhio il risveglio dal torpore dell’attesa nel caldo forzato della carrozza.
Fuori il marciapiede è vivo di suoni e movimenti di mani, di gambe e teste che vagano dondolanti verso una meta.
Il tempo è scandito da orari fittizi e virtuali che vengono demoliti da voci crudelmente gentili.
Intanto il sonno pervade i sensi e fa sognare il viaggio appena intrapreso e le immagini mentali si susseguono come fotografie.



La malafede

30 ottobre 2009



Tratto da: l’ambiguità di Simona Argentieri

…E’ grazie ai meccanismi della malafede che tante persone “per bene” possono entrare in collusione con gli aspetti deteriori del vivere civile e della politica, con la corruzione e la degradazione di tante strutture istituzionali:clientelismo, assenteismo, piccoli vandalismi, evasione fiscale, complicità marginali con il potere…e ancor più distrazione, omissione e indifferenza di fronte all’ingiustizia.
Grazie a piccole scissioni all’interno dell’Io, nessun gruppo “ideo-affettivo” viene rimosso: ciò che invece viene eliminato sono i nessi, i legami associativi tra i diversi contesto…il problema che sta alla radice della malafede è: la grande tentazione che ciascuno può avere di scivolare nella collusione in circostanze spicciole , nelle quali tutto il mondo che ti circonda sembra attrarti in una spirale di compromesso.…La malafede gli consentirebbe invece di ridurre il danno e continuare a inveire.

Sui sogni

29 ottobre 2009

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Tratto da: invito a una decapitazione di Vladimir Nabokov

da molto tempo mi sono abituato al pensiero che quelli che noi chiamiamo sogni sono una semirealtà, una promessa di realtà, una sua fuggevole visione, un suo sentore; contengono cioè, diluita al massimo grado, più realtà autentica di quanta non se ne trovi nella nostra celebrata vita da svegli che, a sua volta, è un dormiveglia, una nociva sonnolenza nella quale penetrano, sotto grotteschi travestimenti, suoni e visioni del mondo reale che scorre oltre la periferia della mente; come quando, nel sonno, ascoltiamo un terrificante, insidioso racconto perché un ramo sta frusciando contro un vetro, o ci vediamo sprofondare nella neve perché la coperta scivola dal letto.
Ma quanto temo il risveglio!…

parallelepipedi gialli con form

L’Agressività

25 settembre 2009

facce

Estratto dall’Aggressività di K. Lorenz

…Lupo Macchiato e Aquila Screziata, capi Sioux di due tribù vicine, tutti e due combattenti vecchi ed esperti e un poco stanchi di morti violente, hanno covenuto di fare un esperimento insolito, vogliono tentare di chiarire con una pacifica conversazione, invece di disotterrare subito l’ascia di guerra, la controversia dei diritti di caccia su quella benedetta isola nel piccolo Rivo dei Castori, che separa i territori di caccia delle due tribù. Questa impresa è in principio un po imbarazzante, perché il desiderio di negoziare può venire frainteso dall’altra parte come codardia. Sicché quando finalmente i due uomini si incontrano dopo essersi lasciati alle spalle seguito e armi, sono terribilmente imbarazzati e siccome nessuno dei due può ammetterlo davanti a se stesso e men che meno davanti all’altro i due si avvicinano con portamento particolarmente superbo, anzi quasi di sfida, si guardano fisso e si siedono con la maggiore dignità possibile. E poi non succede niente per un bel pezzo, proprio niente…a star seduti senza poter muovere neppure un muscolo della faccia per non tradire l’agitazione interna, quando invece si farebbe volentieri qualche cosa, anzi molto, ma si è impediti da forti ragioni contrarie, insomma si è in una situazione di conflitto, dove è spesso un gran sollievo fare una terza cosa neutra che non ha niente a che spartire con i due motivi in conflitto e che oltretutto è indicata a dimostrare indifferenza difronte all’altro. Lo studioso le dà il nome di attività trasposta, la vox populi la chiama più semplicemente gesto di imbarazzo. Tutti i fumatori che conosco hanno in caso di un conflitto interno lo stesso modo di comportarsi, si frugano in tasca e si accendono una sigaretta o la pipa. Per quale ragione dovrebbe essere stato diverso presso un popolo che ha invenato il fumo del tabacco, e dal quale noi l’abbiamo appreso?
Così Lupo Solitario, o magari Aquila Screziata, s’è acceso la pipa, che a quei tempi non era ancora la pipa della pace, e l’altro indiano ha fatto altrettanto. E chi non conosce la divina, rilassante catarsi del fumo? I due capi diventano più calmi, più sicuri di sé e la loro distensione conduce al pieno successo della mediazione. Forse nell’incontro seguente uno dei due indiani ha acceso la pipa subito, forse la volta ancora successiva uno dei due non si è portato da fumare e l’altro, ormai meglio disposto nei suoi confronti, ha diviso con lui la sua pipa. O forse è stata necessaria una serie di innumerevoli ripetizioni della cerimonia per far diventare di dominio pubblico che un indiano che fuma con tutta probabilità certamente meglio disposto a un’intesa che non uno che non fuma.
Forse sono passati secoli prima che il simbolo del fumare insieme abbia significato la pace in maniera sicura e inequivocabile. Certo è però che nel corso delle generazioni quello che originariamente era soltanto un gesto di imbarazzo si è consolidato in un rito che per ogni indiano aveva valore di legge e che gli faceva sembrare inammissibile un’attacco nemico dopo una pipata…